Il cielo rosseggia, il mare dei Caraibi è un foglio di alluminio accartocciato che riflette le prime luci del mattino. Lo stormire delicato delle palme alle tue spalle si intona con lo sciabordio delle onde, la sabbia bianca si tinge di rosa. Sei sulla spiaggia di Tulum, nella penisola dello Yucatán, stai per assistere alla stessa alba a cui assistevano i Maya.

Alle tue spalle c'è la scogliera calcarea di 12 metri dalla quale si affaccia El Castillo, il tempio che, con le sue sale illuminate dalle torce, serviva da punto di riferimento per i naviganti che si avvicinassero alle coste e tentassero di superare la barriera corallina.
L'antico nome di Tulum era Zamá, "la città dell'alba". Il sole che sorge lambisce la scogliera e inonda le pareti squadrate dell'edificio: nel giorno degli equinozi, quando la luce è a perpendicolo, attraversa le fenditure nelle pareti creando una stella di luce, sulla facciata opposta del tempio.

Ora risali la scogliera percorrendo la scalinata di legno, e spazia con lo sguardo fra le rovine adagiate sul pendio erboso, fra palme e mangrovie. Immagina le costruzioni come le trovarono gli Spagnoli nel 1518, dipinte di bianco, di rosso e di blu, impreziosite dagli stucchi. Il misterioso Dio Discendente, con la sua immagine capovolta, veglia ancora sulla città.

A Tulum esiste anche un punto di accesso all'inframondo sotterraneo dei Maya, il regno della morte ma, al tempo stesso, la fonte della vita. Lo trovi alla base della Casa del Cenote, nella grotta che conduce a uno dei fiumi di acqua dolce che in Messico scorrono sotto la superficie terrestre.